Nato a Genova il 29 luglio 1946, Alessandro Gogna è alpinista di fama mondiale, guida, storico dell’alpinismo; il suo gognablog è uno dei più autorevoli nell’ambito. Nel 1988 è tra i fondatori di Mountain wilderness, di cui è garante. Ha all’attivo centinaia di prime ascensioni sugli Appennini, sulle Alpi e su altre catene del mondo compiute dalla fine degli anni Sessanta ai primi Duemila. Tra le prime si ricordano: lo Scarason (1967), il Pizzo Badile in invernale (1968); la parete nord del Grandes Jorasses in solitaria (1968); la sud-est del Grand Capucin in invernale (1969); la parete est del Monte Rosa in solitaria (1969); il Naso di Z’Mutt (1969); le numerose prime sulle pale dei San Lucano tra il 1970 e il 1974; la prima invernale della cresta integrale di Peuterey (1971); la nord-ovest della Cima di Terranova per via diretta (1971). Ha scritto numerosi volumi autobiografici, biografie, libri dedicati alla storia dell’alpinismo, alle vette del mondo, nonché curato numerose pubblicazioni collettive. Tra i volumi si ricordano: Un alpinismo di ricerca, Milano, dall'Oglio, 1975; con Reinhold Messner, K2, Novara, De Agostini, 1980; La parete, Bologna, Zanichelli, 1981; Cento nuovi mattini, Bologna Zanichelli, 1981; Rock story, Milano, Edizioni Melograno, 1983; Visione verticale. La grande avventura dell'alpinismo, Roma-Bari, Laterza, 2020.
Titolo: Un alpinismo di ricerca
Luogo di edizione: Milano
Casa editrice: dall’Oglio
Anno di pubblicazione: 1975
Il volume raccoglie «racconti, lettere, episodi, per la maggior parte mai pubblicati, [...] trascritti senza correzioni o aggiunte», con l’intento di «lasciare le cose come stavano», spiega l’autore nell’introduzione: «E così ho potuto trarre alcune conclusioni, sull’alpinismo passato, presente e futuro» (s. n.). Ripercorriamo in questa scheda soltanto alcuni momenti, selezionando arbitrariamente tra i numerosissimi, e spesso molto brevi, frammenti che compongono il lungo percorso tracciato dal testo, il quale si distacca dalla tradizionale autobiografia alpinistica per connotarsi come un libro «diverso» (ibidem), secondo le intenzioni dello stesso autore, in cui confluiscono riflessioni, vicende, ideali e persino testi dal sapore finzionale situati lungo dodici anni di pratica alpinistica. Il racconto delle proprie ascensioni inizia con il primo bivacco, nel 1965, e termina sulla Palazza, nel 1974; nel mezzo, Gogna ripercorre le sue note imprese, dallo Scarason al Badile, dalla solitaria sulle Grandes Jorasses al Naso di Z’Mutt, dal Gran Cappucin alle Pale di San Lucano, dalla Cresta integrale del Peutérey all’Annapurna 1. Il primo capitolo consiste in un’ampia riflessione sull’alpinismo contemporaneo che si concentra sui cambiamenti intercorsi nel tempo nella “filosofia” dell’alpinismo in rapporto agli sviluppi delle tecniche e delle tecnologie d’ascensione, con riferimento specifico al ben noto “assassinio dell’impossibile” di cui parla Messner nel 1968, che Gogna identifica con l’uccisione «della vera avventura del pensiero e del coraggio» che ha comportato «l’arida classificazione sportiva e il calcolato e morboso interesse dei veicoli d’informazione (p. 14). L’intero volume è, come si evince dal titolo, dedicato al racconto, personale ma con l’aspirazione a raggiungere un valore generalizzabile, di un alpinismo di ricerca, votato cioè alla ricerca del nuovo, nonostante la percezione dell’esaurimento degli spazi e delle possibilità del nuovo stesso per l’alpinismo. Segue un frammento in cui si contesta l’ipotesi dell’alpinismo inteso come un comune sport «senza alcun ideale aggiunto» (p. 17). Il lettore può seguire le discussioni su progetti futuri e sulle idee dell’alpinismo che Gogna intrattiene con l’amico Messner attraverso le lettere tra i due, scambiate tra il ’68 e il ’69, che vengono riportate a mezzo del volume. Un mantello che avvolge il passato, breve frammento dal carattere onirico, e Scarason costituiscono insieme due brani che riportano direttamente al legame di estraneità dell’alpinista rispetto al territorio montano, vissuto quasi come un senso di colpa, e alla voglia, allo stesso tempo, di radicarsi nel territorio e nelle sue tradizioni. Nella parte finale del volume si trova Evoluzione storica dell’alpinismo, frammento scritto a quattro mani con Gian Piero Motti, in cui i due ripercorrono la storia della pratica, dal romanticismo eroico cresciuto sulle pagine di Nietzsche e Lammer, ai pericoli che la stessa «trappola romantica» (p. 308) di una fuga ascetica dal consorzio sociale può rappresentare per l’alpinista contemporaneo; il discorso è da ricollegare a quell’alienazione di cui Motti parla nel 1972, nel ben noto intervento intitolato I falliti che dava avvio al Nuovo mattino. Il libro termina con un testo programmatico, datato 1974, in cui Gogna prospetta un alpinismo «ideale», in cui l’aspetto estetico-creativo ha la priorità e l’individualismo caratteristico della pratica viene superato dalla socialità, dalle relazioni interpersonali, un alpinismo che possa porsi come un esempio, un modello per la società tutta, in vista della «rivoluzione totale» (pp. 346-348) che aleggia negli anni dell’onda lunga del Sessantotto. Il senso dell’alpinismo per Gogna, la ricerca di questo senso, è il filo che in definitiva lega le esperienze qui raccolte – accompagnate dalle fotografie delle imprese compiute – di cui l’autore evidenzia costantemente il dato tecnico, cronachistico, ma riporta anche sensazioni e riflessioni che ne sono scaturite, secondo uno stile molto personale che asseconda l’andamento meditativo e dubitativo di una continua interrogazione su sé stessi. Oltre alle memorie personali, con l’accoglimento delle voci di “altri”, Messner e Motti, e ridiscutendo i problemi scottanti che hanno interessato la pratica con l’avvento della contemporaneità, questo volume contiene un intero spaccato di alpinismo, un affresco delle utopie così come delle contraddizioni che lo hanno animato negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta.
[Giovanna Lo Monaco, 26/11/2025]
Ultimo aggiornamento
26.11.2025