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Rébuffat Gaston (1921-1985)

Nato a Marsiglia il 7 maggio del 1921 in una famiglia modesta, Rébuffat comincia a scalare sin da adolescente nelle Calanques e sul Sainte Victoire. Si iscrive presto al Club Alpino Francese e in Jeunesse et Montagne, dove conosce Lionel Terray, suo compagno di molte scalate e caro amico. In seguito, diviene guida alpina, poi istruttore guida presso Chamonix. Nel 1945 compie la seconda salita della via Cassin sulla parete nord delle Grandes Jorasses insieme a Édouard Frendo; seguono altre pareti nord delle Alpi, compresa quella dell’Eiger nel 1952. Nel 1950 prende parte alla spedizione francese che conquistò l’Annapurna. È stato uno dei più grandi alpinisti della sua generazione e, come molti nello stesso periodo, autore di film documentari: il suo Étoiles et Tempêtes vince il Trento fim festival nel 1955. Muore a Bobigny, il 31 maggio 1985. Scrittore prolifico e molto apprezzato, ha pubblicato numerosi libri, di cui si riportano le principali edizioni italiane: Stelle e tempeste. Sei pareti nord, Bologna, Alfa, 1955; con Pierre Tairraz, Tra la terra e il cielo, Milano, Bietti, 1965; Cervino cima esemplare, Bologna, Alfa, 1966; Ghiaccio, neve, roccia, Bologna, Zanichelli, 1972; Il massiccio del Monte Bianco: le 100 più belle ascensioni, Bologna, Zanichelli, 1974; Gli orizzonti conquistati, Bologna, Zanichelli, 1976; La montagna è il mio mondo, in prima edizione italiana Torino, Vivalda, 1996.

Titolo: La Montagne est mon domaine

Luogo di edizione: Paris

Casa editrice: Éditions Hoëbeke

Anno di pubblicazione: 1994

Edizione italiana di riferimento: La montagna è il mio mondo, trad. Mirella Tenderini, Milano, Hoepli, 2024

 

Il volume raccoglie una selezione di brani da diversi volumi di Rébuffat, alcuni dei quali mai proposti in traduzione italiana, effettuata dalla moglie Françoise, che nella Premessa ricorda la perizia del marito nel licenziare i suoi testi. Sebbene in maniera frammentaria, viene qui ripercorsa la vita e la carriera di Rèbuffat, sin dalle prime passioni per la montagna e dalle prime arrampicate, da piccolo, nelle Calanques: «Più che a Marsiglia, è là che sono nato. [...] Quello era il nostro mondo: camminare, arrampicare significava appartenergli» (p. 1). È nel gioco e nel piacere dell’arrampicata, nell’avventura che il territorio propone al giovane Rébuffat e ai suoi compagni, che si crea quel rapporto primario con la natura che poi segnerà profondamente l’alpinista. Agli anni delle prime arrampicate è dedicata la prima sezione del volume, È là che sono nato, cui segue quella intitolata Il manto di stelle, ancora incentrato sugli anni giovanili, in cui si ripercorre il momento della prima vera salita, a 17 anni, con l’amico Moulin sulla Barre des Ecrins – «la montagna dei miei sogni» (p. 21) – all’“inseguendo” della figura di una vecchia guida. A vent’anni lascia la regione per diventare guida e si trasferisce a Chamonix; alcuni episodi della sua carriera sono ripercorsi nella sezione Il grande mestiere. «Il mestiere di guida è tra i più belli che ci siano, perché l’uomo lo esercita in una terra ancora vergine. Ai nostri giorni, in città è rimasto poco: non esiste più la notte, né il freddo, né il vento, né le stelle. Tutto è neutralizzato» (p. 24), scrive; malgrado possa sembrare un mestiere ripetitivo, la natura non smette mai, infatti, di rapire Rébuffat, che del mestiere evidenzia i momenti in cui con i clienti si istaura una relazione. In questa sezione si trovano molti frammenti inerenti alla questione del rischio – «Mi piacciono le grandi difficoltà ma non amo il pericolo: [...] gli alpinisti amano e rispettano i grandi spazi, la vita e l’amicizia, non il gusto del rischio. [...] Ci vuole entusiasmo, ma anche lucidità» (p. 31) – e l’esaltazione dell’arrampicata come sport fine a sé stesso, praticato per il «piacere intimo di comunicare con la montagna [...] con la sua materia. Come per un artista o un artigiano il legno, la pietra o il ferro che lavora» (p 34). Per Rébuffat l’alpinista è un’atleta e un’artista insieme, che dovrebbe fare del senso dell’equilibrio il principio dell’arrampicata, equilibrio come obiettivo nel rispetto al rischio così come nella ricerca dello stile. Le sezioni successive – Il giardino dell’incanto, La cima esemplare, Preludio alle grandi salite – contengono un susseguirsi di ritratti di montagne, descritte con una maestria da pittore nella loro bellezza, ma senza risparmia il racconto delle paure e dei dubbi prima e durante le ascese: tra queste la traversata del Monte Bianco, la parete nord delle Grandes Jorasses, la parete nord dei Drus e il pilastro Bonatti, la spaventosa parete nord dell’Eiger, Cima grande, Gran Cappucin, la sud dell’Aiguille du Midi, ma soprattutto la parete nord del Cervino, la montagna esemplare, perfetta nella sua forma piramidale, tradizionalmente ritenuta inaccessibile, che Rébuffat descrive ripercorrendo le fasi immaginarie della sua creazione da parte un ipotetico scultore (pp. 69-72). Specie in merito al Cervino emerge la critica alla crescente turistizzazione della montagna e alla minaccia rappresentata dall’avanzare della modernità, delle macchine, su territori vergini e selvaggi della montagna. Segue la sezione dedicata alle spedizioni himalayane, Orizzonti lontani, in cui al ricordo del maestro di scuola che descriveva quelle montagne come sacre e ancora inviolate, si lega una nuova critica all’avanzare della modernità cui si contrappone la celebrazione del ritmo di vita delle popolazioni autoctone dell’Asia. In questa parte ha un ruolo eminente il racconto della terribile discesa dall’Annapurna nel 1950, quando Rébuffat e Terray salvano Maurice Herzog e Louis Lachenal, duramente segnati dall’arrivo sulla vetta, riportandoli a valle. È uno dei tanti momenti in cui Rébuffat celebra l’amicizia come valore supremo, ben più importante del valore dell’impresa: in questo senso l’intero volume è costellato di ritratti di amici alpinisti – tra questi lo stesso Lachenal –, ma anche di grandi figure dell’alpinismo – come Michel Croz, ricordato per le sue qualità umane – e episodi in cui si evidenzia uno spirito solidale nella cordata. Amare la terra, ultima sezione del volume, è una celebrazione della natura e dell’alpinismo come pratica che non soltanto trova nel contatto con la natura il suo scopo, ma anche come “fatto naturale”, ovvero che dall’appartenenza alla natura scaturisce.  Qui la questione si lega una forte denuncia contro l’inquinamento e l’addomesticazione cui è sottoposta la natura, e al pronunciamento a favore dell’istituzione di aree protette, intese come una sorta di opera di ri-sacralizzazione della montagna, mentre si sussegue una serie di racconti di esperienze vissute a contatto con gli animali e in ambienti differenti, come il deserto, il mare, l’Etna. Il percorso si chiude dunque con l’appello a sentirsi parte di un unico ecosistema assieme alla natura, messaggio che con tutta evidenza si rende estremamente attuale nel tempo delle nuove ecosofie che ispirano lo stesso mondo dell’alpinismo. Il volume si chiude con la postfazione di Antonio Massena, Gaston Rébuffat e il cinema e un utile filmografia, attraverso le quali è possibile ripercorrere la carriera cinematografica dell’autore, oltre che dalla sua bibliografia. Il testo dell’intero volume è intervallato da fotografie che ritraggono Rébuffat, alcune delle quali sembrano voler fare concorrenza agli scenari dei quadri di Friedrich. Lo stile di Rébuffat, lontano da eccessiva retorica, è incentrato sulla celebrazione della bellezza naturale, per la quale l’autore dispiega metafore e descrizioni che, pur riallacciandosi a una certa tradizione romantica, la innovano attraverso una sensibilità del tutto personale.

[Giovanna Lo Monaco, 15/11/2025]

Ultimo aggiornamento

26.11.2025

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