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Desmaison René (1930-2007)

Nato a Bourdeilles il 14 aprile del 1930, Desmaison si trasferisce a Parigi dopo la morte della madre, dove viene educato dal padrino. Dopo essersi dedicato allo sci, compie le prime scalate durante il servizio militare nel 1950; in seguito diventerà guida, poi istruttore-guida a Chamonix. Nei primi anni della sua carriera alpinistica Desmaison forma una solida cordata con Jean Couzy fino alla morte prematura dell’amico: insieme compiranno molte prime: la cresta nord dell'Aiguille Noire de Peutérey (1956), la direttissima della nord-ovest del Pic d'Olan (1956), la prima invernale della ovest dei Drus (1957), lo Sperone Margherita nelle Grandes Jorasses (1958). Apriranno una nuova via sulla parete ovest dell'Aiguille Noire de Peutérey (1957); compiranno la terza ripetizione della direttissima alla Cima Grande di Lavaredo (1958). Nel 1962 Desmaison è nella spedizione francese guidata da Lionel Terray che scala lo Jannu. Si ricordano poi la salita invernale dello sperone Walker (1963) con Jaques Batkin, la solitaria della parete ovest del Drus (1963) e la prima invernale del Pilone Centrale del Freney (1967) con Robert Flematti, tra le tante invernali, in cordata e in solitaria, di cui Desmaison è stato protagonista. Muore a Marsiglia nel 2007. Ha scritto: La Montagne à mains nues, Paris, Flammarion, 1971; 342 heures dans les Grandes Jorasses, Paris, Flammarion, 1973; Professionnel du vide, Paris, Athaud, 1979; Les forces de la montagne: mémoires, Paris, Hoebeke, 2005. Postumo esce il romanzo Le jaguar de Cristal: Roman inédit, Pontarlier, Éditions du Belvédère, 2012.

 

Titolo: La Montagne à mains nues

Luogo di edizione: Paris

Casa editrice: Flammarion

Anno di pubblicazione: 1971

Edizione italiana di riferimento: La montagna a mani nude, trad. Giancarlo Barberis, Milano, Corbaccio, 2017

 

Il libro di Desmaison si apre con il ricordo del famoso salvataggio di Heinz Ramisch e Hermann Schriddel sul Drus nel 1966 che gli costò l’espulsione dalla Società delle guide di Chamonix. L’autore ripercorre la dinamica del salvataggio, in cui è impegnato, assieme ad altri, con Gary Hemming, e le ragioni che lo spingono, dopo aver raggiunto i due dispersi, a ridiscendere con loro dalla parete ovest, contrariamente alle direttive provenienti dalla valle ma forte della sua esperienza pregressa sul Drus. A seguito del salvataggio, Desmaison viene accusato di essere un «franco tiratore, l’indisciplinato» (p. 43), sceso dalla parete ovest per farsi pubblicità, ma l’autore difende le sue scelte e sottolinea l’obbligo del soccorso in montagna da parte di chiunque sia in grado di offrirlo, che, per una guida come lui, è anche una questione d’onore. Segue un breve ritratto di Gary Hemming, che traccia il quadro di un personaggio affascinante e il ricordo della sua morte. Il volume prosegue tornando indietro alla giovinezza, con il capitolo intitolato L’estraneo: Desmaison cresce infatti lontano dalla montagna e dalla sua tradizione, disinteressato all’alpinismo e sognando anzi un futuro da navigatore. Quando il padrino, cui viene affidato a seguito della morte della madre, lo conduce in montagna a fare delle passeggiate, lui guarda quello «spettacolo meraviglioso [...] con occhi da turista» (p. 51). Arrivano però le prime esperienze con gli sci e le prime arrampicate nella “palestra naturale” di Fontainebleau. Durante il servizio militare viene assegnato alla sezione degli sciatori-ricognitori del 99° Battaglione di fanteria alpina e si dedica interamente allo sci. Tuttavia, dopo una brutta caduta e una lunga degenza, la carriera sciistica si interrompe per lasciare il posto alla scalata. La prima vetta, nel 1950, è il Pic de Rochebrune; segue una sempre più intensa attività alpinistica, che lo conduce addirittura ad aprire, seppur per caso, una prima per la vetta del Trélatête. «La montagna, così come si stava rivelando ai miei occhi, doveva darmi molto più della soddisfazione della scoperta, anche profonda, di uno sport appassionante. Mi offriva una vita aperta, immensa, ricca di momenti esaltanti, sfaville di luce» (p. 62); per dedicarvisi, rimane tuttavia la necessità di trovare un lavoro che lasci abbastanza tempo libero, nonché un compagno di cordata più esperto per potersi migliorare, compagno che Desmaison troverà in Jean Couzy. Dopo un breve ritratto dell’amico, Desmaison ripercorre le numerose imprese con lui compiute seguendo un ordine cronologico. Parte dalla prima salita della cresta nord dell'Aiguille Noire de Peutérey (1956), «l’inizio di una serie di prime che avremmo realizzato assieme» (p. 78). Segue la direttissima della parete nord-ovest del Pic d'Olan (1956), nel cui ricordo si apprezza la capacità di Desmaison di coniugare il resoconto tecnico con il racconto, in cui immancabilmente compaiono i dialoghi, sempre scherzosi, tra lui e i compagni di cordata. Il racconto della prima invernale della parete ovest dei Drus (1957) riporta un episodio esemplare dello spirito con cui i due affrontano le peggiori avversità: scoraggiati dal freddo e dal peso dei sacchi, con la preoccupazione che possa arrivare il maltempo, i due decidono di rinunciare all’impresa e poiché i viveri sembrano, dunque, non servire più, decidono di consumarli tutti in un sol colpo. «Che sia per il buon tempo che ci siamo concessi la mattina, che sia per il pasto abbondante o per l’alcool, sta di fatto che i neri pensieri che ci avevano assalito con le prime luci dell’alba ci sembrano di un pessimismo esagerato. Sarebbe sciocco lasciar perdere con un tempo così bello. Anzi, sarebbe sleale nei nostri stessi confronti» (p. 101). Ripartono così per la vetta: compiranno la prima della ovest in salita, ma anche in discesa, scendendo a corda doppia dalla stessa parete. Nel 1958 Desmaison viene invitato da Lionel Terray a collaborare alla realizzazione del film Le stelle di mezzogiorno: in un momento di pausa dalla lavorazione, mentre cerca di lavarsi con soluzioni di fortuna, scivola e cade rovinosamente; ma l’impazienza vince sulla prudenza e l’alpinista torna presto prima sul set e poi a scalare, stavolta sulle Dolomiti. Di nuovo con Couzy si spinge, nel 1958, al compimento della terza ripetizione della direttissima alla Cima Grande di Lavaredo (prima francese) e della prima salita dello Sperone Margherita sulla nord delle Grandes Jorasses: «In un’epoca in cui le grandi prime nelle Alpi stavano facendosi rare, lo sperone Margherita era un obiettivo di prim’ordine» (p. 140). Quella dello sperone Margherita è raccontata come un’esperienza significativa anche dal punto di vista del rapporto con la natura. Desmaison insiste spesso sulla bellezza degli scenari, descrivendo i panorami in modo che efficacemente se ne ricavi la sensazione restituita a chi li guarda, ma in questo caso il contatto col naturale appare più stretto: «Legati alla parete, finiamo con l’integrarci nel paesaggio, diventiamo anche noi una particella di natura» (p. 146). Il capitolo dedicato alla scalata, l’ultima con il compagno, si conclude sulla morte di Couzy. Nel 1959 Desmaison parte per la spedizione sullo Jannu – poi fallita – guidata da Jean Franco: l’incipit richiama i romanzi d’avventura – «L’Himalaya è per l’alpinista quello che le isole dei mari del Sud sono per i navigatori» (p. 148) – ma subito, con una piega ironica, il racconto vira verso la condanna alla schiavitù cui sono condotti gli sherpa. Seguono il racconto della salita alla cima ovest di Lavaredo e della parte nord dell’Olan, in cui l’autore procede, a tratti più o meno lunghi, secondo una scansione diaristica, giorno per giorno, che adotterà anche in molti dei capitoli successivi. Nel 1962 è la volta della nuova spedizione sullo Jannu, stavolta riuscita, guida da Lionel Terray: qui è lo stesso Desmaison che riprende i compagni con la telecamera. Il capitolo dedicato all’Himalaya verte però, più che sull’ascensione, sul “dopo”, quando, in fase di rientro, Desmaison si perde nella foresta, iniziando un’avventura degna di un romanzo, a contatto diretto con una natura selvaggia. Seguono i racconti dell’invernale sulla parte nord delle Jorasses con l’amico Jacques Batkin, di cui Desmaison traccia un nostalgico ricordo; poi i racconti della parte ovest del Drus in solitaria e del pilone centrale del Frêney, per giungere all’Epilogo che, dopo una citazione da Baudelaire, è dedicato al ricordo degli amici deceduti. Lo stile di Desmaison è tendenzialmente scevro di retorica e spesso ironico, ma contempla numerosi momenti – dalla descrizione dei panorami, al ritratto dei compagni scomparsi, alle riflessioni sul senso della scalata – in cui l’autore rivela un certo gusto letterario, specie nella costruzione delle immagini. Alcune fotografie intervallano il racconto, secondo la tradizione della letteratura alpinistica.

[Giovanna Lo Monaco, 15/11/2025]

Ultimo aggiornamento

26.11.2025

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