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Barmasse Hervé (1977-)

Nato a Aosta il 21 dicembre 1977, Hervé Barmasse è alpinista italiano di fama mondiale. È cresciuto in una famiglia in cui il mestiere di guida si tramandava da diverse generazioni e diventerà anche lui guida. Tra le sue imprese si ricorda la nuova via, Per Nio, aperta in solitaria sul Cervino (2000), montagna in cui è iniziata la sua carriera e a cui l’alpinista è profondamente legato. Si ricordano poi: la prima ascensione solitaria della parete sud del Cervino  (2002) e le molte altre solitarie, sulla stessa montagna, che si sono succedute negli anni, nonché il primo concatenamento invernale delle sue quattro creste (2014); la nuova via sul Cerro San Lorenzo (2006); la prima ascensione dalla parete nord-ovest del Cerro Piergiorgio (2008); la prima salita assoluta della Bekka Brakai Chhok in stile alpino (2008); più di recente compie la prima traversata in solitaria invernale delle principali vette del Gran Sasso (2025). È un regista affermato di documentari. Ha scritto: La montagna dentro, Bari-Roma, Laterza, 2015; Non così lontano, Milano, RCS, 2015; con Alessandra Raggio, Cervino. La montagna leggendaria, Milano, Rizzoli, 2021.

 

Titolo: La montagna dentro

Luogo di edizione: Bari-Roma

Casa editrice: Laterza

Anno di pubblicazione: 2015

 

Il volume è suddiviso in brevi capitoli in cui si alterna il racconto di momenti differenti, secondo un fitto incastro di flashback che movimenta il racconto della vita e della carriera dell’alpinista a partire dalla giovinezza. Il memoriale inizia quando nei primi anni Novanta, a Cervinia, Barmasse si dedica allo sci, con il ricordo di una brutta caduta e della successiva operazione chirurgica. Segue, con un passo indietro all’infanzia, il ricordo del padre, Marco, guida alpina così come il nonno, Gino, prima di lui, e delle vacanze dai nonni sul Cervino. Con il padre avviene il primo approccio alla montagna, sempre sul Cervino, a metà degli anni Novanta, che, tuttavia, non lascia Hervé particolarmente entusiasta; sarà con la seconda scalata, ancora sul Cervino, d’inverno, che Barmasse si appassionerà all’alpinismo; col tempo diventerà anche lui guida alpina come il padre e il nonno. La “Gran Becca” è in effetti la montagna che più di altre segna l’esistenza e la carriera di Barmasse: l’autore racconta, della solitaria sulla via Grassi-Casarotto e di altre imprese compiute sui suoi versanti, ma anche della vita nelle località montane, tra l’avanzata del turismo e le tradizioni che andrebbero preservate. Tra le molte esperienze vissute in montagna, racconta anche delle spedizioni e delle esplorazioni in Asia e in Sud America: la prima in Nepal, nel 2000, durante la quale un errore di acclimatamento – con conseguente ipossia – lo porta a riflettere sui limiti di una sprovveduta ambizione. Seguono le spedizioni in Pakistan; la seconda offre il viatico al ricordo della morte dell’amico Massimo Farina – con il quale aveva scalato molte vie, tra cui la via Padre Pio prega per tutti sulla Gran Becca – e a lui accomunato dall’esigenza di conoscere il proprio limite, oltre che dalla «ricerca del nuovo» (p. 76). Segue il racconto della prima scalata al Becka Bracai con Simone Moro nel 2008. Il Cerro Piergiorgio, su cui nel 2008 traccia una nuova via, sulla inviolata parete nord-ovest, è una delle montagne su cui l’autore si sofferma maggiormente, dopo il Cervino. A proposito del Piergiorgio Barmasse insiste sul fascino della natura selvaggia del luogo, ma è questo uno degli elementi ricorrenti del volume, in cui l’autore fa spesso riferimento, non soltanto alla natura con cui entra in contatto, ma anche al fascino del selvaggio incontrato sui racconti d’avventura, che si rivelano come una delle sue maggiori fonti di ispirazione. «Sin da piccolo ho sempre ricercato l’avventura. [...] Non per eroismi, o ricerca di fama e successo, ma per una necessità, per un bisogno che sento dentro di me» (p. 151), scrive, prima di una lunga digressione in cui ripercorre l’avventura dell’esploratore Ernest Shackleton e del suo equipaggio, dispersi in Antartide nel 1914 dopo un lungo periodo di strenua sopravvivenza; il richiamo a Shackleton si pone, non a caso, mentre racconta del percorso con la slitta attraverso lo Hielo Continental Sur, «la terza calotta glaciale più grande della terra» (p. 153), per arrivare al Cerro Riso Patrón. Tuttavia, l’avventura per Barmasse non richiede necessariamente grandi viaggi: «ero sempre più convinto che sulle Alpi ci fosse ancora spazio per l’avventura e la ricerca del nuovo, sempre più lontano dall’idea che l’avventura fosse un’esclusività da ricercare solo su montagne lontane di paesi esotici» (p 182). Nel 2011 l’alpinista avvia infatti una nuova impresa, il progetto Exploring the alps, con il quale si propone di aprire tre nuove vie, nell’arco di un anno, rispettivamente sul Monte Bianco, il Monte Rosa e il Cervino: «L’obiettivo andava al di là della ricerca dell’exploit, volevo far emergere, oltre all’aspetto tecnico delle scalate, un po’ di sano romanticismo» (ibidem). In solitaria sul pilastro sud-est del Picco Muzio, sul Cervino, dopo aver raccontato delle nuove vie La Classica Moderna sul Bianco, in cordata, e Viaggio nel tempo sul Rosa, aperta con il padre Marco, Barmasse racconta di quella che definisce la sua prova più difficile, sul Cervino, in solitaria sul Picco Muzio: dopo un primo tentativo fallito, l’alpinista ritenta con più convinzione questa impresa che sembra andare «oltre il buon senso e la razionalità» (p. 192). Una volta raggiunta la cima, trova il padre, salito per un altro percorso, ad accoglierlo. I racconti di Barmasse sono anche racconti di vita familiare e affettiva: uno degli ultimi capitoli è infatti dedicato alle scalate con la compagna, un altro è invece dedicato al ricordo della prima scalata al Couloir dell’Enjambée, sul Cervino, compiuta con il padre nel 2005, la quale, oltre che rappresentare un momento portante dei rapporti padre-figlio, coincide con un vero e proprio passaggio di consegne tra generazioni di alpinisti. Il volume presenta, del resto, continui richiami al passato dell’alpinismo, comprese le esperienze del padre e del nonno, e presenta un fitto intarsio di citazioni, da Bonatti – racconterà anche del suo incontro con Bonatti –, Guido Rey, Mummery, Gorret e altri grandi dell’alpinismo, così come ai diari del padre. Il racconto personale è, cioè, sempre intrecciato alle esperienze di chi è venuto prima lasciando la sua eredità e tiene costantemente a fronte del racconto del vissuto quello della tradizione dell’alpinismo. L’idea di alpinismo che filtra dal racconto e su cui Barmasse si sofferma a più riprese è chiaramente ispirata ai principi del Nuovo mattino – anch’esso ricordato tra le tappe dell’alpinismo – e in particolare all’idea di un alpinismo di ricerca, votato all’avventura e alla ricerca del nuovo, l’idea di un alpinismo come gioco, senza l’ossessione dei numeri e dei primati, senza eroismi: «in montagna esiste una sfida per tutti. Un sogno da realizzare nel cuore di ognuno di noi. [...] Tutti dovrebbero vivere la montagna al proprio livello. Imparando a sviluppare l’arte della rinuncia, a riconoscere e a confrontarsi con i propri limiti. Sono le emozioni che proviamo a rendere grande ciò che facciamo» (p. 148-149). Come da tradizione, il racconto è accompagnato da fotografie, a carattere prevalentemente didascalico, raccolte in due piccole appendici distribuite nel mezzo del libro. L’accuratezza dell’intreccio narrativo e lo stile, semplice ma mai banale, dell’autore, nonché la ricchezza dei rimandi non solo alla letteratura alpinistica ma anche alla più ampia tradizione letteraria, fanno di questo volume un prodotto senz’altro meritevole.

[Giovanna Lo Monaco, 23/11/2025]

Ultimo aggiornamento

26.11.2025

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