Nasce a Lemoa, nella provincia basca di Biscaglia, nel 1981 e va in montagna, sul Gorbea, fin dall’età di tre anni. Nel 1992 entra nel Club Alpino Ganzabal di Lemoa, effettuando numerose scalate sui Pirenei. Nel 1998 si reca per la prima volta nelle Alpi. Lavora come muratore ma ben presto abbandona questo mestiere per diventare alpinista di professione e per dedicarsi al base jumping. Nel 2005 entra a far parte dell’équipe del programma televisivo “Al filo de lo imposible” come cameraman di alta quota. Si ricorda per: aver scalato il Boroviev (2002); il Chetyrek (2002); il Broad Peak (2003); il Makalu (2004); il Cho Oyu (2004); aver compiuto la prima ascensione del Waldell Peak (2006); aver scalato il Sisha Pangma (2007); il Dhaulagiri (2008); il Manaslu (2008); l’Annapurna (2010); aver aperto una nuova via sul Gasherbrum I in inverno (2011); aver aperto una nuova via sul Gasherbrum I in inverno (2012); aver scalato l’Ulamertorsuaq (2012); aver compiuto la prima ascensione del Laila Peak (2013); aver scalato il Torre Sin Nombre con Ekaitz Maiz in sole trentasei ore (2014); aver aperto una nuova via sul Thalay Sagar (2015); aver compiuto la prima ascensione invernale del Nanga Parbat (2016); aver aperto una nuova via sul Wild Spur (2020). Il documentario sulla sua spedizione sul Gasherbrum I del 2011, intitolato Next time inshallah, riceve il premio per il miglior film di montagna del Sestriere Film Festival. Il documentario della spedizione al Gasherbrum I e Gasherbrum II, di sei giorni, intitolata Aizkora hotsak goi mendietan, vince il premio per il miglior film in lingua basca al Mendi Film Festival del 2011. Il documentario della spedizione in Groenlandia del 2012, Next Stop: Greenland, riceve numerosi premi tra cui il miglior film di sport estremo al BCN Sports 2013 e il miglior film all’International Air Film Festival 2013. Scrive: La montaña desnuda. Primera ascensión invernal al Nanga Parbat, La Galera, SUA Editorial, 2020; Manaslu invernal, La Galera, SUA Editorial, 2023.
Titolo: La montaña desnuda. Primera ascensión invernal al Nanga Parbat
Luogo di edizione: La Galera
Casa editrice: SUA Editorial
Anno di pubblicazione: 2020
Edizione italiana di riferimento: La montagna nuda. La prima ascensione invernale del Nanga Parbat, trad. Roberta Bovaia, Milano, Solferino, 2021.
Il volume, i cui profitti sono destinati alla comunità Sair, si apre con un prologo in cui vengono posti degli interrogativi riguardo al senso della pratica alpinistica e vi si afferma che «la risposta è dentro di noi, reale come la vita ma, nello stesso tempo, impossibile da spiegare, descrivere con precisione» (p. 7). Si riscontra la presenza di un lungo inserto fotografico, nel bel mezzo dell’undicesimo capitolo, contenente quaranta fotografie a colori dotate di didascalie esplicative. Il primo capitolo si apre in medias res: mentre si trova al campo base del K2 ‒ con Lorenzo Ortas, Félix Criado, Josep Sanchìs e Ignacio de Zuloaga ‒ l’autore viene raggiunto dalla notizia che Tom Ballard e Daniele Nardi, nel tentativo di scalare il Nanga Parbat dallo sperone Mummery in invernale, hanno interrotto le comunicazioni da cinque giorni. Il 6 gennaio, quando era passato sotto il Nanga Parbat, l’autore aveva detto ai suoi compagni che, ostinandosi per tale via, i due alpinisti non sarebbero tornati a casa. Ora, nell’attesa di notizie rassicuranti, Txikon pensa alle altre tragedie occorse sulla stessa montagna e prova il rimpianto di non aver avuto con sé Nardi durante l’ascensione del 2016. Su richiesta della famiglia dell’amico, la squadra dell’alpinista basco decide di partecipare a una complessa operazione di soccorso, spostandosi in elicottero dal K2 al Nanga Parbat. Tra slavine e numerosi pericoli, il gruppo, costituito anche da esperti alpinisti pakistani, rinviene prima l’attrezzatura e poi i corpi di Ballard e Nardi. Il secondo capitolo è costituito da un’analessi che riporta la narrazione all’inverno 2016 quando, con Ali Sadpara e Simone Moro riesce a raggiungere la vetta del Nanga Parbat, la «montagna assassina» (p. 40). Il terzo capitolo torna ancora più indietro, all’inverno 2014-2015, quando, durante una sfortunata spedizione al K2 con Denis Urubko e Adam Bielecki, viene attirato dal Nanga Parbat. La narrazione procede a ritroso e l’autore descrive l’ascensione invernale del Gasherbrum I del 2012, durante la quale, con la morte di Nisar Hussain, di Cedric Hählen e Gerfried Göschl a causa di una bufera di vento, comprende che scalare un Ottomila in questa stagione «non ammette errori o azioni poco avvedute, perché una decisione sbagliata ha conseguenze catastrofiche, irrimediabili» (p. 53). L’asticella temporale si sposta nuovamente in avanti, per cui dal quinto al tredicesimo capitolo vi si riportano il viaggio, l’estenuante permanenza al campo base per maltempo e il tentativo di ascensione del Nanga Parbat nel 2015 con Igone Mariezkurrena, Pello Hernando, Ali Sadpara e Muhammad Khan: in quest’occasione, incontra Daniele Nardi ai piedi della «montagna nuda» (p. 83). Stabilendo immediatamente un ottimo rapporto con lui, l’alpinista italiano viene invitato ad aggregarsi a Txikon e compagni per andare sulla via Kinshofer e l’autore spiega: «quattro scalatori uniti sono sempre meglio di tre…e allo stesso tempo impedimmo a Daniele di tentare ancora una volta lo sperone Mummery, dal momento che già in un paio di occasioni ci era capitato di vederlo nel ghiacciaio di accesso o mentre saliva dal suo campo uno, in solitaria. Ero spaventato e angosciato quando lo vedevo senza compagni su quella via così esposta» (p. 95). Nella notte del 13 marzo, Sadpara e Nardi partono con rapidità, sbagliando strada, e non prestano aiuto a Txikon che è costretto a scalare a 7500 metri di quota con la luce frontale non funzionante: la spedizione termina con un insuccesso. Nel quattordicesimo capitolo, l’autore ricostruisce i vari tentativi nella storia dell’alpinismo, a partire da Mummery nel 1895, di scalare il Nanga Parbat, la «killer mountain» (p. 149). Dopodiché, l’alpinista basco racconta i preparativi per un nuovo tentativo sulla stessa montagna, per la via Kinshofer in inverno: dalla ricerca dei finanziatori ‒ il marchio outdoor Trangoworld in testa ‒ a un viaggio in Argentina con il team per amalgamarsi come gruppo, comprendente Mariezkurrena, Nardi, José Nieto e Luis Aretxaga, dai festeggiamenti natalizi a Islamabad al trasferimento prima a Chilas e poi al campo base del Nanga Parbat. Qui Daniele Nardi inizia ad isolarsi, a non collaborare con i compagni e, soprattutto, a non comunicare con loro, trovandosi in più occasioni a discutere con Mariezkurrena. A causa delle pessime condizioni della via Kinshofer, l'italiano propone di passare per lo sperone Mummery ma, sondando il pericolo della via, la squadra conferma la Kinshofer. Qualche giorno dopo, Simone Moro e Tamara Lunger rinunciano a scalare la montagna per la via Messner e Txikon decide di invitarli a unirsi a loro ma Nardi si oppone fermamente, convinto che Moro debba chiedere a lui il permesso di partecipare al tentativo per la via Kinshofer. L’autore a questo proposito scrive: «come poteva esistere una cosa del genere tra connazionali? Perché non darsi una mano nel bisogno? […]. Simone non ha complottato né tramato alle spalle di nessuno. Quello che è successo dopo è stato solo il risultato delle scelte sbagliate di Daniele» (p. 187). Il 6 febbraio, Daniele lascia la spedizione, provocando lo sconcerto di tutti i componenti. Dal 22 al 27 febbraio, come viene raccontato dal ventunesimo al ventiquattresimo capitolo, il gruppo attacca la vetta, affrontando terribili condizioni metereologiche, disidratazione e terreno ghiacciato. Soltanto Txikon, Sadpara e Moro riescono a raggiungere la cima, mentre Lunger, allo stremo delle forze, decide di scendere. Il volume si conclude con il racconto della discesa, con un breve paragrafo per ricordare Daniele Nardi e un altro per Ali Sadpara, morto sul K2, con una cronologia delle ascensioni compiute e con i ringraziamenti.
La scrittura di Txikon è colloquiale e si evidenzia un’ampia presenza di sequenze narrative e dialogiche. Scala indossando una calzamaglia di plartec smanicata con tasche sul petto, pantaloni di goretex e varie tipologie di piumini; utilizza corde, jumar, racchette da neve e attrezzatura tecnologica come i droni, il racetracker e i walkie-talkie. Sugli Ottomila porta con sé anche il Fortecortin e l’Adalat per affrontare eventuali edemi polmonari o cerebrali. L’autore afferma che «spesso inseguiamo l’avventura solo per salvarci dalla routine della vita quotidiana, dalla società opprimente, da quello che ci circonda e che non ci fa sentire realizzati e soddisfatti» (p. 45). Il rischio, a suo avviso, deve essere calcolato e ogni alpinista deve essere guidato dall’amore per la montagna e non dalla vanità. Nel secondo capitolo, l’autore riflette sul valore del raggiungimento della cima e afferma: «non sono forse anch’esse semplici luoghi geografici, a cui diamo un valore unico “solo” perché sono il punto più alto di un rilievo che fatichiamo tanto a raggiungere? […]. Devo confessare, a ogni modo, che a tutt’oggi non ho ancora raggiunto una cima su cui abbia trovato quello che mi aspettavo. Forse il bello è proprio lì, nel fatto di non riuscire mai a realizzare il sogno che si è inseguito» (p. 37).
[Clementina Greco, 17 novembre 2025]
Ultimo aggiornamento
17.11.2025