MENU

Maestri Cesare (1929-2021)

Il “Ragno delle Dolomiti” nasce a Trento nel 1929 e rimane orfano di madre all’età di sette anni mentre, nel 1943, il padre viene condannato a morte per attività antiaustriaca, ma non viene giustiziato perché fugge. Cesare entra a far parte di un gruppo di partigiani comunisti e lotta per la Liberazione. Nel dopoguerra, si trasferisce a Roma per studiare storia dell’arte e qui milita nel Partito Comunista Italiano. Pur volendo diventare un attore, Maestri trova impiego come muratore e diventa anche pugile. Inizia, in questo periodo, la sua attività alpinistica effettuando, nel corso della sua vita, circa 3500 ascensioni, molte delle quali in solitaria. Una volta trasferitosi con la moglie Fernanda a Madonna di Campiglio, vive come guida alpina, maestro di sci e gestore del negozio “La bottega di Cesare Maestri”. Muore nel 2021. Le sue imprese alpinistiche più rilevanti sono: la scalata in solitaria della via Preuss sul Campanile Basso (1950); l’ascensione in solitaria della via Solleder sul Civetta (1952); la prima scalata in solitaria della parete Ovest del Croz dell’Altissimo (1952); la prima ascensione in solitaria della via Soldà sulla Marmolada, aggiudicandosi il primato per la prima solitaria di VI°+ (1953); la prima scalata in solitaria della Via delle Guide sul Crozzon di Brenta (1953); la prima ascensione in solitaria della via Detassis sulla Brenta Alta (1953); la prima scalata in solitaria della parete Sud del Croz dell’Altissimo (1955); l’apertura la via Maestri con Luciano Eccher sulla parete Nord-est del Castel Alto dei Massodi (1956); la prima ascensione in solitaria del pilastro Sud-ovest dello Spallone del Croz dell’Altissimo (1957); l’apertura della via Donato Zeni sulla parete Sud-ovest della Corna Rossa con Carlo Claus (1965); l’apertura della via Maestri-Claus sulla parete Nord del Campanile Basso con Carlo Claus (1965); l’apertura della via Maestri sulla parete Nord-est della Punta Massari (1966); la prima scalata del VI Torrione della Corna Rossa con Tullio Celva (1969); la prima ascensione della parete Sud dello Spallone del Campanile Basso con Ezio Alimonta (1969); l’apertura della via Bruna sulla parete Nord del Castello di Vallesinella con Bruna Bettoni (1970); prima ascensione del Cerro Torre, con l’ausilio di un compressore meccanico alimentato da un motore a scoppio di 60kg, insieme a Carlo Claus ed Ezio Alimonta (1970); prima salita della Torre Bepi Loss e Carlo Marchiodi (1971); l’apertura della via Marchiodi sulla parete Sud della Torre Lancieri della Corna Rossa (1972); l’apertura della via Maestri sulla parete Est della Cima Tosa (1975); l’apertura della via Deserto dei Tartari sulla parete Nord-ovest della Cima del Grostè con Ugo Lorenzi quasi interamente in artificiale (1976). Si ricorda, inoltre, per aver scritto: Lo spigolo dell’infinito, Rovereto, Manfrini, 1955; Arrampicare è il mio mestiere, Milano, Garzanti, 1961; A scuola di roccia con Cesare Maestri, Bologna, Cappelli, 1965; 2000 metri della nostra vita, Milano, Garzanti, 1972 (con Fernanda Dorigatti) che vince il premio Bancarella Sport nel 1973; Il Ragno delle Dolomiti, Milano, Rizzoli, 1981; …E se la vita continua, Milano, Baldini & Castoldi, 1996.

 

Titolo: …E se la vita continua

Luogo di edizione: Milano

Casa editrice: Baldini&Castoldi

Anno di pubblicazione: 1996

 

Quest’autobiografia di Cesare Maestri, costituita da ventitré capitoli, racconta la vita dell’alpinista trentino che, oltre a fornire i dettagli di alcune delle sue imprese ascensionali più significative, descrive la propria famiglia, l’esperienza di guerra, le relazioni amorose e amicali, delineando, in definitiva, un profilo di sé. La narrazione inizia con il protagonista ‒ cioè l’autore stesso ‒ che si guarda allo specchio all’età di sessantacinque anni, notando i segni di decadimento su un corpo che, un tempo, è stato atletico e muscoloso. Dopo una cesura graficamente rappresentata dallo spazio bianco, Maestri ricorda la sua «strana famiglia» (p. 7): la madre Meri che, a soli sedici anni, lascia Ferrara per seguire il sogno di diventare attrice, trasferendosi a Torino; il padre Toni, irredentista trentino e volontario dell’esercito italiano che, dopo la Prima guerra mondiale, conosce e sposa Meri con cui allestisce un teatro itinerante e una compagnia denominata “Scavalcamontagne”; la nonna Anita, la sorella Anna e il fratello Giancarlo. Maestri racconta la sua difficile infanzia vissuta a Trento, dove rischia di morire per nefrite emorragica e broncopolmonite. Segue un capitolo in cui l’autore descrive la povertà, le privazioni e i bombardamenti che lui e gli altri abitanti dei “Casoni”, le case popolari di Trento, devono sopportare durante la Seconda guerra mondiale. Di fronte a tanto orrore, Maestri dichiara: «improvvisamente divenni adulto» (p. 20). In seguito all’armistizio, si presentano altri problemi come l’arresto di suo padre, la fuga a Bologna che, però, viene bombardata con l’intento di uccidere il generale Kesselring, il trasferimento a Pavignane dove creano la compagnia teatrale “La sfollata” e dove Maestri si dedica al mercato nero di sale e fiammiferi. Dopodiché, la famiglia torna a Trento e Cesare inizia ad organizzare degli attentati contro i tedeschi, utilizzando le loro stesse armi, rubate in precedenza. Abbandonando nuovamente la città per esplosioni e violenze, i Maestri si rifugiano in un piccolo paesino di montagna, Pifferi, dove il padre e Cesare diventano partigiani.  Nel dopoguerra, rientrato a Trento, l’autore lavora per disinnescare esplosivi rimasti sul territorio e, successivamente, come venditore di caramelle nei cinema. Nel 1947 si trasferisce a Roma, vivendo in povertà con la sorella Anna in una pensione, e, in questo periodo, trova impiego come battilamiera, come manovale e come cameriere, sfogando la sua rabbia nella boxe. Così descrive questa fase della sua vita: «fu un periodo di debolezza nera. Mangiavamo solo pane e fichi secchi e a volte la fame era così forte che le ginocchia si piegavano improvvisamente e ci trovavamo con le lacrime agli occhi» (p. 35). Nel frattempo, entra a far parte del PCI e viene scritturato come attore dall’ex futurista Anton Giulio Bragaglia. Non riuscendo mai ad ambientarsi a Roma, Maestri decide di tornare a Trento, dove il padre aveva aperto una ricevitoria del Totocalcio. Proprio all’interno dell’attività paterna, Cesare incontra Gino Pisoni, un alpinista e accademico del CAI che gli propone di arrampicare con lui in Paganella.  L’autore così commenta la sua prima ascensione: «Compresi di aver trovato la mia strada. Sarei diventato una guida alpina. […]. E conoscendo il mio orgoglio, la mia testardaggine e la mia volontà, giurai a me stesso che avrei cercato di diventare anche il più forte alpinista del mondo» (p. 40). Dopo aver compiuto undici salite, Maestri affronta il Campanile Basso con Franco Giovannini per mettersi alla prova e, in cima, riceve i complimenti da parte di Bruno Detassis, «il re del Brenta» (p. 41). Nonostante le numerose scalate, il giovane Cesare non si sente accolto dal chiuso ambiente alpinistico trentino da cui, però, impara tantissimo. Dal 1950, si trasferisce a Molveno, lavora per un rifugio ed effettua ascensioni ogni giorno mentre, dall’anno successivo diventa portatore alpino e si stabilisce al rifugio Pedrotti. Grazie a un allenamento costante, affina la sua preparazione atletica, tecnica e psicologica e affronta delle importanti ascensioni in solitaria, come la via Dibona sul Croz dell’Altissimo e la via Comici sul Campanile Comici. Dopodiché, Marino Stenico lo invita a scalare il Civetta e, durante un’intervista rilasciata per commentare il tutto, definisce Cesare «un ragno» (p. 56) per la disinvoltura con cui arrampica: è così che Cesare Maestri viene chiamato il “Ragno delle Dolomiti”. Dal 1952, il “Ragno” trentino, come egli stesso racconta, si interessa all’alpinismo artificiale e aumenta il livello di difficoltà ‒ come la parete Sud-ovest della Marmolada ‒ delle sue ascensioni, rispettando però un principio fondamentale: «Montagna per vivere, non per morire» (p. 60). Racconta poi la sua esclusione dalla spedizione italiana al K2 del 1954 a causa di un’ulcera che, però, non ha e reagisce a questa delusione percorrendo in sedici ore il Gruppo del Brenta con una concatenazione di tredici cime. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Maestri diventa famosissimo e si crea con Walter Bonatti «un dualismo che rendeva più profondo il solco che ci divideva» (p. 64) come persone e come alpinisti. La narrazione prosegue con numerose avventure ad alta quota, tra cui la scalata allo Spallone del Campanile Basso, durante la quale rischia di perdere l’amico Luciano Eccher; l’ascensione in solitaria al Cervino per la via italiana, messa in dubbio da Jean Pellissier che con un collega sale a controllare i segni lasciati da Maestri; e il tentativo della prima ripetizione della parete Nord dell’Eiger nel 1955.  Nel bel mezzo del volume, l’autore torna a parlare dei suoi affetti, dedicando alcune pagine al rapporto con la sorella, con il fratello e con le donne. Nel 1956, diventa direttore della scuola di roccia Giorgio Graffer e del rapporto con i suoi allievi dice: «con passione ho trasmesso loro tutta la mia esperienza, le mie paure, le mie gioie e le mie soddisfazioni con l’intento di farne degli alpinisti “prudenti”» (p. 89).  Seguono le descrizioni di numerose discese di sesto grado e di ascensioni in libera che preparano l’autore ‒ e il lettore ‒ ad affrontare il Cerro Torre, eccezionale montagna granitica ubicata tra l’Argentina e il Cile. Su invito di Cesarino Fava nel 1957, Cesare Maestri organizza la Spedizione Trentina al Cerro Torre conferendo i seguenti ruoli: Bruno Detassis capospedizione, l’autore e Martino Stenico cordata di punta, Catullo Detassis, Fava e Luciano Eccher cordata di supporto. L’autore, a questo punto, registra i dettagli del viaggio intrapreso in concomitanza con i diretti rivali Bonatti e Mauri, l’accoglienza del gruppo trentino, la marcia di avvicinamento con i carri, l’installazione del campo base e le ascensioni compiute su montagne limitrofe al Cerro Torre che, per volere di Bruno Detassis, non viene attaccato. L’anno successivo, Maestri torna in Patagonia, stavolta con la guida alpina di Innsbruck Toni Egger, con l’intento di scalare il Torre ad ogni costo: «con rabbia mi rendevo conto che stavo barattando la mia vita con la vetta del Torre perché ero un uomo orgoglioso» (p. 112). Una volta arrivati in cima, i due vengono raggiunti dal maltempo e, dopo il quinto bivacco, Toni viene travolto e ucciso da una valanga. Tornato a Trento, Maestri racconta di aver trascorso un momento estremamente difficile, durante il quale perde la voglia di vivere: «ogni giorno mi ripetevo che sarebbe stato mille volte meglio morire laggiù al Torre piuttosto che soffrire il giornaliero tormento dei ricordi» (p. 125).  Ricoverato in ospedale per un infortunio sciistico, riceve le visite di Fernanda, un’amica di sua cugina, e i due si innamorano tanto che l’autore riesce a ristabilirsi a livello psicologico e a tornare in montagna. Improvvisamente, però, Maestri viene chiamato per un’operazione di soccorso e, ancora zoppicante, deve recuperare la salma del suo caro amico Giulio Gabrielli e aiutare il giovane Toni Masè, rimasto bloccato su una cengia. In seguito a queste tragedie, l’autore riflette sulla morte che troppo spesso accompagna l’attività alpinistica e afferma: «una morte inutile è un’offesa a quell’esercito di eroi che giorno dopo giorno si batte per il diritto di vivere, per il diritto di essere diversi, per il diritto di essere rispettati e per il diritto di essere liberi dalle schiavitù sociali, etniche e religiose» (p. 135). Dopo questa terribile esperienza, l’autore si trasferisce con Fernanda e il figlio a Canazei, dove, oltre a svolgere il lavoro di guida alpina, tiene numerose conferenze riguardanti la sua attività alpinistica e, soprattutto, «l’odissea del Torre» (p. 137). Seguono il racconto dell’apertura della direttissima sulla Roda di Vael nel gruppo del Catinaccio, della polemica con Donato Zeni, del nuovo trasferimento ad Andalo, dell’apertura del locale “La Baita”, della pubblicazione del libro Arrampicare è il mio mestiere del 1962, del tentativo di ripetizione della direttissima sulla parete Nord della Cima Grande di Lavaredo con le conseguenti polemiche sui giornali per i pochi chiodi lasciati dagli alpinisti tedeschi sulla via, del suo ritorno con Baldessari sulla stessa parete per smentire i detrattori e del lusinghiero articolo scritto per l’occasione da Dino Buzzati e pubblicato sul «Corriere della Sera».  Dopodiché, Maestri e la sua famiglia si trasferiscono a Madonna di Campiglio, dove l’autore entra a far parte del Gruppo Guide Alpine e apre la “Bottega di Cesare Maestri”, dedicandosi sempre ad ascensioni complesse, soprattutto nel Gruppo di Brenta. Nel 1970, l’autore, come registra nel dettaglio, viene trascinato nuovamente dalle polemiche, iniziate da Bonatti e Mauri, riguardo alla sua ascensione del Cerro Torre del 1959. Messo in dubbio e criticato, ancora una volta, per la tragica ma vittoriosa impresa di undici anni prima, Maestri decide di scalare nuovamente il Torre. La spedizione, composta anche da Carlo Claus, Cesarino Fava, Pietro Vidi, Renato Valentini ed Ezio Alimonta, comprende il trasporto di un compressore con motore a scoppio atto ad azionare un trapano con il fine di forare velocemente la roccia liscia della montagna. Dopo cinquantaquattro giorni trascorsi in parete, il gruppo deve rinunciare e scendere. A questo punto, Maestri organizza una nuova spedizione e solo qualche mese dopo tenta nuovamente la scalata con Claus, Alimonta, Baldessari e Daniele Angeli. Stavolta, con fatica e perseveranza, la vetta del Cerro Torre è vinta, di nuovo, e così Maestri descrive la sensazione provata lassù: «era stupido odiare una montagna. Allora odiai me stesso. Odiai il mio egoismo. Il mio protagonismo» (p. 200). Scendendo, il gruppo schioda la via e rompe il compressore, rendendolo inutilizzabile per eventuali ripetitori. Seguono ulteriori polemiche e Maestri scrive sferzanti parole nei confronti di Bonatti e di Reinhold Messner, veri e propri antagonisti dell’alpinista trentino. Nel 1979, a causa di un incidente occorso pescando l’anno precedente, Maestri si vede costretto a smettere di arrampicare, per la rottura di alcuni tendini a un dito della mano. 

Dopo aver preso questa sofferta decisione, si dedica ai viaggi, all’attività sciistica, ai programmi televisivi e alla famiglia. Negli ultimi capitoli, l’autore racconta del matrimonio del figlio, della lunga crisi depressiva di Fernanda, della nascita della nipotina Carlotta, della perdita di Anna, delle vacanze in Sardegna, della morte di Giancarlo, dell’operazione chirurgica per un tumore nel 1995 e delle escursioni per le sue montagne.

La prosa di Maestri è intensa, colloquiale e dalla sintassi tendenzialmente paratattica. Inizialmente usa corde di canapa, chiodi e moschettoni, indossando pedule con suole di feltro. In seguito, adotta le scalette di corda con scalini di alluminio, le pedule con suola Vibram, progettate e realizzate dall’alpinista Vitale Bramani e, soprattutto, i chiodi a pressione. Maestri si impone un “codice” tetrapartito per arrampicare, come scrive all’interno della sua autobiografia: «1) mai mettere a repentaglio la vita di chi si affidava a me; 2) mai mettere a repentaglio la vita dei soccorritori per salvare la mia; 3) mai rischiare la vita per una montagna; 4) smettere di arrampicare il giorno in cui avrei sentito il bisogno di cedere a qualcun altro il posto di capocordata» (p. 212). Secondo l’autore, «per l’alpinista l’emozione più entusiasmante è quella di “lasciare la prima impronta”» (p. 42), essere il primo a calcare un luogo incontaminato e vergine. Il senso del suo alpinismo, però, è più complesso perché lo considera «non come un fine ma come un mezzo per poter[…][si] inserire nella società» (p. 44) e dice: «salita dopo salita mi sentivo inserito sempre più profondamente nella società, mi sentivo parte del mondo e questo mi rendeva sempre più forte indistruttibile» (p. 60).

 

[Clementina Greco, 07 novembre 2025]

Ultimo aggiornamento

14.11.2025

Cookie

I cookie di questo sito servono al suo corretto funzionamento e non raccolgono alcuna tua informazione personale. Se navighi su di esso accetti la loro presenza.  Maggiori informazioni