Nasce ad Auckland nell’Isola del Nord, in Nuova Zelanda, 1919 e diventa, fin da piccolo, un appassionato lettore. All’età di sedici anni, in seguito a una gita scolastica sul vulcano Ruapehu, inizia a praticare l’attività alpinistica. Durante la Seconda guerra mondiale, combatte nell’aviazione neozelandese. Dal 1948 partecipa a spedizioni alpinistiche internazionali, diventando estremamente famoso per aver raggiunto la vetta dell’Everest nel 1953. Cinque anni dopo, riesce ad arrivare al Polo Sud con la Commonwealth Trans-Antarctic Expedition. Nonostante svolga il mestiere di apicoltore, Hillary si distingue per l’intensa attività umanitaria in favore del popolo nepalese degli sherpa attraverso l’Himalayan Trust, riuscendo a far costruire scuole e ospedali. Nel 1975, perde la moglie Louise Mary Rose e la figlia Belinda in un tragico incidente aereo. Muore nel 2008. Si ricorda, oltre per la prima ascensione dell’Everest anche per aver compiuto la prima scalata dello Spigolo Sud del Monte Cook (1948) con Ruth Adams, Harry Ayres e Mick Sullivan. Scrive: High adventure, London, Hodder & Stoughton, 1955; High in the thin cold air, New York, Doubleday, 1962 (con Doig Desmond); Nothing venture, nothing win, London, Hodder & Stoughton, 1975; From the Ocean to the Sky: Jet boating up the Gange, New York, Viking, 1979.
Titolo: High adventure
Luogo di edizione: London
Casa editrice: Hodder & Stoughton
Anno di pubblicazione: 1955
Edizione italiana di riferimento: Everest. La storia della prima ascesa, trad. Andrea Roveda, Prato, Piano B, 2020.
In dodici capitoli, questo récit d’ascension racconta l’impresa che nel 1953 porta Edmund Hillary e Tenzing Norgay, grazie a una spedizione internazionale del Commonwealth guidata da Lord Hunt, a conquistare la vetta più alta del mondo: l’Everest. Nella prefazione, l’autore elenca le qualità indispensabili per compiere azioni memorabili come questa: «coraggio, intraprendenza, capacità di fronteggiare stenti e privazioni, l’entusiasmo per restare fedeli a un ideale con ostinatezza e determinazione» (p. 5). Hillary inizia la narrazione tornando alle radici della sua passione alpinistica, individuabili nell’adolescenza quando, all’età di sedici anni, si reca in gita scolastica sul vulcano Ruapehu e vede per la prima volta la neve, entrando così in «un regno fatato di nevi scintillanti, pini rachitici, ruscelli ghiacciati» (p. 9). Quattro anni più tardi, incontrando nella hall di un albergo Stevenson e Dick dopo la traversata del monte Cook e notando come i due siano «al centro dell’ammirazione di tutti» (p. 11) decide, «in preda a un sentimento d’inutilità» (Ibidem), di dedicarsi completamente alla montagna. Il giorno seguente, infatti, compie la sua prima ascensione, insieme a un amico e a una guida, sul monte Olivier. Tornato a casa, pieno di entusiasmo, Hillary si appassiona a due libri d’alpinismo: Camp Six di Frank Smythe e Nanda Devi di Eric Shipton. La svolta avviene per lui nel 1946, grazie all’incontro della guida Harry Ayres «il migliore alpinista neozelandese» (p. 13) che, per tre stagioni, gli insegna come scalare. Nel 1950, dopo aver effettuato una serie di ascensioni difficili, con l’amico George Lowe, decide di organizzare una spedizione in Himalaya con altri due amici, Earle Riddiford ed Edmund Cotter. Nel bel mezzo dell’avventura, i quattro alpinisti neozelandesi leggono un articolo che dà la notizia di un’impresa, guidata da Eric Shipton e in preparazione per l’autunno 1951, avente l’obiettivo di scalare l’Everest. Hillary e Riddiford, con loro grande sorpresa, vengono invitati dall’organizzatore a unirsi alla spedizione ‒ insieme a Bill Murray, Tom Bourdillon e il dottor Michael Ward ‒ di cui l’autore registra i dettagli nel secondo e nel terzo capitolo del volume. Avendo a disposizione poche informazioni, una volta piantato il Campo Base nel ghiacciaio Khumbu, quota 5250 metri, il gruppo deve procedere con una fase esplorativa. Tra crepacci e improvvise slavine, riescono a spingersi fino al Cwm Occidentale per poi, con grande amarezza, desistere. Dopodiché, Hillary e Lowe vengono invitati da Shipton a partecipare a una nuova spedizione himalayana avendo come obiettivo, questa volta, il Cho Oyu, la settima montagna più alta del mondo. Giunti sul posto, nonostante il progetto sia di effettuare l’ascensione da Nord-ovest, la strategia deve essere modificata, perché le truppe comuniste cinesi, preso ormai possesso del Tibet, minacciano la zona di confine e ciò comporta il fallimento dell’impresa. Come racconta nel quinto capitolo, Hillary e Lowe si accontentano di scalare, con l’aiuto di tre sherpa e sei portatori, il Nup La, superando una terribile seraccata sul ghiacciaio Ngozumba, da dove hanno la possibilità di vedere e studiare l’Everest mentre viene attaccato da una spedizione svizzera. Scorgendo il Campo I, avverte «una sensazione inquietante, come se i fantasmi di Mallory, di Irvine, di Smythe, stessero ancora svolazzando tra le rovine» (p. 106). Durante la discesa, Hillary spera che gli svizzeri abbiano fallito e, quando apprende da Shipton che la vetta è rimasta inviolata, prova sollievo. Al Namche Bazar, i due gruppi hanno modo di confrontarsi e gli svizzeri raccontano di aver superato la seraccata ma di non aver percorso la via sul ghiacciaio del Lhotse, come suggerito da Shipton, bensì una via sulla cresta rocciosa da loro denominata Sperone dei Ginevrini. Giunti stanchi e provati al Colle Sud, Lambert e Tenzing avevano proseguito fino a quota 8550 metri per poi arrendersi. Una volta tornato ad Auckland, Hillary riceve una lettera di Shipton che, avendo accettato di dirigere una nuova spedizione per l’Everest del 1953, lo invita a partecipare con Lowe e Ayres. Il settimo capitolo si apre con una lettera di John Hunt che, avendo sostituito Shipton a capo della spedizione prevista per il 1953, lo informa del fatto che i nomi dei partecipanti devono essere approvati dall’Himalayan Joint Committe. Con grande piacere, Hillary e Lowe vengono confermati con Charles Evans, Tom Bourdillon, Alfred Gregory, Michael Ward, Charles Wylie, Wilfrid Noyce, Michael Westmacott e George Band, a cui si aggiungono l’operatore cinematografico Tom Stobart, il fisiologo Griffith Pugh e una serie di sherpa, tra cui Tenzing Norgay, e di portatori. I due amici neozelandesi incontrano gli altri membri a marzo a Kathmandu, da dove presto si spostano per stabilire un campo a Thyangboche. Hillary viene incaricato di guidare un piccolo gruppo, costituito da Lowe, Westmacott e Band, sul ghiacciaio Khumbu per studiare la seraccata e l’accesso al Cwm Occidentale e, a tal riguardo, dice: «sentivo fortissima la responsabilità che John Hunt mi aveva assegnato, ed ero deciso a tentare l’impossibile per arrivare in cima alla seraccata» (p. 131). Con determinazione e resistenza, il gruppo riesce a tracciare una pista fino a quota 6000 metri e a stabilire il Campo II. Nei giorni successivi, superata una fase di acclimatazione, piccoli gruppi si alternano per battere la pista, fondare dei campi, rifornire questi ultimi e collaudare i respiratori. Con grande gioia, l’autore apprende da Hunt di essere stato scelto per condurre insieme a Tenzing il secondo attacco alla vetta dell’Everest con i respiratori a circuito aperto. Nonostante gli innumerevoli imprevisti, Hunt stabilisce il trasporto degli equipaggiamenti e dei viveri sul Colle Sud per il 21 maggio. Una volta in cammino, l’autore si entusiasma nel vedere Evans e Bourdillon procedere spediti verso la Cima Sud dell’Everest, mentre Tenzing ritiene che gli sherpa dovrebbero partecipare all’assalto finale. Conquistata la Cima Sud, i due iniziano la discesa ma necessitano di aiuto e così, Hillary e Lowe prestano loro sostegno. Dopo aver trascorso una difficile notte al campo posto al Colle Sud, Hunt, Evans e Bourdillon scendono al Cwm Occidentale, mentre Hillary e Tenzing si preparano. Nel decimo capitolo, Lowe, Gregory, lo sherpa Ang Nyima, Tenzing e Hillary portano i carichi fino alla cresta Sud-est e l’autore scrive: «scalare a queste altezze dà raramente ‒ o quasi mai ‒ un vero piacere. Ogni singolo passo richiede uno sforzo fisico e mentale assolutamente consapevole. Eppure, […], mi sentii invaso da una sensazione di conquista che trascendeva qualsiasi fatica» (p. 199). Stabilito il Campo IX, il gruppo si divide: Lowe, Gregory e Ang Nyima tornano al Colle Sud, mentre Hillary e Tenzing bivaccano con una temperatura di 27 gradi sotto lo zero e pieni di dubbi per il giorno seguente. L’undicesimo capitolo del volume si intitola emblematicamente La cima, in quanto l’autore riporta i dettagli dell’assalto finale, compiuto a partire dalle 6.30 del mattino del 29 maggio 1953 con corde, piccozze e bombole d’ossigeno a circuito aperto. Queste pagine ricche di tensione ‒ «fra le gambe vedevo 3000 metri di voragine […] non mi ero mai sentito così esposto al pericolo» (p. 222) ‒ culminano con il raggiungimento di entrambi sulla vetta della montagna più alta del mondo. Così l’autore descrive, nel capitolo finale, la sensazione provata: «mescolato al sollievo c’era un vago senso di stupore per aver avuto la fortuna di raggiungere l’ambiziosa meta di tanti alpinisti coraggiosi e determinati. All’inizio fu persino difficile capire che ce l’avevamo fatta […]. Ma mentre la realtà del successo si faceva sempre più chiara nella mente, sentii diffondersi nel mio corpo una grande, calda soddisfazione» (p. 231).
Al contempo, Tenzing lascia delle leccornie in una piccola buca per offrirle in dono alle divinità del Chomolungma ‒ questo il nome tibetano dell’Everest che, in traduzione italiana, significa “Madre dell’universo”. In questa stessa buca, Hillary deposita una piccola croce affidatagli da Hunt sul Colle Sud simboleggiando, con pochi oggetti così differenti tra loro, «la forza spirituale e la pace interiore che gli uomini ricevono dalle montagne» (p. 234). Nelle ultime pagine, l’autore racconta la discesa e, soprattutto, i lieti momenti di incontro con il resto della squadra.
La scrittura di Hillary trasmette tensione perché, nonostante qualche descrizione, le sequenze sono prevalentemente narrative e la sintassi è fortemente paratattica. Il lessico è comune e medio, evitando sia picchi aulici che bassi. Scala utilizzando corde, scarponi, piccozze e ramponi. Il senso del suo alpinismo risiede, certamente, nella sfida con sé stesso ma un ruolo fondamentale viene giocato dall’esplorazione, dall’avventura, dall’attrazione per l’ignoto. Un elemento molto importante che emerge dalla sua scrittura è il cameratismo che avverte durante le spedizioni internazionali.
[Clementina Greco, 14 novembre 2025]
Ultimo aggiornamento
14.11.2025