Nasce nel 1955 a Celje, una città della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, nell’attuale Slovenia. Trascorre l’infanzia nella natura, abitando in una casa situata ai margini del bosco. Inizia a scalare nel 1973 e lavora come meccanico elettricista. A causa della leva obbligatoria, tra il 1975 e il 1976 si trasferisce in Macedonia. Nel 1979 partecipa ai campionati mondiali di arrampicata veloce. In seguito a un grave incidente avvenuto durante un allenamento nel 1999, è costretto a cambiare lavoro e svolge la mansione di guardiano presso una fabbrica di birra a Laško. Nel 2010 riceve l’Ordine al Merito dal Presidente della Repubblica di Slovenia per i suoi successi alpinistici. Muore nel 2017. La sua attività alpinistica è eccezionale dato che, nel corso degli anni, scala 5460 vie, di cui 790 prime ascensioni tra cui: la prima invernale della via Modec-Režek sulla Štakerska Rinka (1977); la prima ascensione della cresta Ovest dell’Everest (1979); la prima ascensione del Pisco (1982); la prima ascensione del Chachraraj (1982); la prima ascensione del Chopicalqui (1982); il record di sei ore per scalare la Nord dell’Eiger (1982); la prima ascensione di El Capitan (1983); la prima ascensione del Fitz Roy (1983); prima scalata della via I Tre moschettieri sul Cervino (1983); prima scalata della via Direttissima all’Inferno sul Cerro Torre (1986); prima scalata della via Psycho Vertical sulla Torre Egger (1986); prima scalata della via Yellow Arrow su El Mocho (1986); prima assoluta in discesa del Broad Peak (1987); prima scalata della via Rolling Stones sul Baghirathi II (1989); prima scalata della via Korenina sul Triglav (1992). È autore di Ožarjeni Kamen, Ljubljana, Sanje, 2008.
Titolo: Ožarjeni Kamen
Luogo di edizione: Ljubljana
Casa editrice: Sanje
Anno di pubblicazione: 2008
Edizione italiana di riferimento: La pietra infuocata, trad. Luca Calvi, Lecco, Alpine Studio, 2014.
Fin dalla prefazione, Luca Calvi evidenzia come il libro di Knez sia difficilmente collocabile all’interno del perimetro del récit d’ascension e, più in generale, della letteratura alpinistica, che spesso propone schemi e modelli piuttosto convenzionali. Il volume, frutto dell’insistenza di Rok Zavrtanik e di Urban Golob, si distingue nel settore, a suo avviso, per originalità nelle forme e nei contenuti proposti. Dal punto di vista grafico, capitoli brevi si alternano ad altri di più ampio respiro, mentre i font variano in base allo stato d’animo che lo scrittore intende far emergere oppure alla tipologia di scalata descritta. Il maiuscoletto, in particolare, viene adottato per le considerazioni più profonde da parte dell’autore, mentre i due brevi testi poetici, collocati ad apertura e a chiusura del volume, sono introdotti da degli asterischi. L’opera, corredata da diciannove fotografie in bianco e nero, è un’autobiografia intima, strettamente soggettivo, che non fornisce al lettore dettagli precisi bensì sensazioni, ricordi frammentari che si intrecciano senza rispettare l’ordine cronologico delle vicende. Knez inizia con il raccontare due scalate, compiute in anni differenti, al Črni Kal dove, l’incontro e il confronto con altre persone gli stimolano una riflessione riguardo alla discrasia tra l’autopercezione e le impressioni ricavate dagli altri, all’esterno. Dopodiché, l’autore racconta le sue prime ascensioni compiute, insieme al vicino di casa Jožet, con il Club Alpino di Celje sotto la direzione di Cic Debeljak. Seguono alcuni brevi capitoli dedicati all’infanzia, ai genitori e al fratello, ricordati con nostalgia e affetto. Descrive, inoltre, una serie di ascensioni complesse, come la prima invernale sul Pilastro Dušanov, la scalata della Bela Grapa durante una tormenta di neve, la prima invernale della via Modec-Režek sulla Štajerska Rinka e la Direttissima Americana ai Dru. Knez racconta, inoltre, di aver lasciato il Club Alpino di Celje per divergenza di vedute con gli amministratori e di essersi legato a un gruppo di alpinisti, tra cui Matjaž Fištravec e Marjan Kovač con i quali compie spedizioni extraeuropee, come in Perù. Pagine intense vengono dedicate alla solitaria sull’Eiger ‒ che, afferma l’autore, «garantisce un’emozione particolare» (p. 77) per la varietà di scenari, tecniche e tipologie di scalata che offre ‒ e all’ascensione di El Capitan. Tra il 1980 e il 1981, Knez conosce Silvo Karo e Janez Jeglič con i quali apre numerose nuove vie ‒ per esempio sulla Vrbanova špica, sulla Črna gora e sul Travnik ‒ ed effettua ascensioni notevoli, come il diedro tra la parete Est e il pilastro Goretta del Fitz Roy. Nel ventitreesimo capitolo, lo scrittore registra il terribile mutamento occorso al Parco Nazionale Paklenica dove, a causa di ferrate, percorsi per bambini, sentieri didattici ecc. costruiti sulle pareti verticali, «l’anima […] è confusa, si sente vuota e ben presto compaiono dentro di lei la solitaria tristezza e il malinconico dolore per il paradiso perduto» (p. 115). Seguono pagine dedicate alle ascensioni sul Triglav ‒ «la montagna delle […] montagne» (p. 121) slovene, nonché «simbolo pietrificato della potenza e della grandezza» (Ibidem) ‒, sull’Everest in una spedizione nel 1979, sul Lhotse nel 1981, sul Kangchenjunga nel 1985, durante cui perde la vita Borut Bergant, sul Trango e sul Broad Peak nel 1987. Nel trentaquattresimo capitolo, Knez racconta di come abbia affrontato due operazioni chirurgiche alla spina dorsale, a causa di una caduta occorsa durante un allenamento. Ciononostante, torna a scalare su roccia, rivivendo le emozioni di un tempo.
La scrittura è paratattica, asciutta, scorrevole e facilmente comprensibile per il lessico comune. Knez si allena ogni giorno e aumenta gradualmente il livello di difficoltà delle scalate, mettendosi alla prova con qualunque condizione atmosferica, con il fine di accrescere il suo bagaglio di competenze. Compie numerose ascensioni in libera, su roccia, su ghiaccio, d’inverno e gradisce arrampicare di notte per conoscere vari aspetti della montagna. Introduce i principi dell’arrampicata libera ‒ a partire dalla velocità di esecuzione, dall’interesse per la parete ‒ nell’alpinismo in stile alpino, proponendo una pratica aperta, flessibile, ibrida. Scala usando corde, ramponi, moschettoni e alcuni chiodi che, spesso, rimuove, ma nei primi anni, insieme al suo amico Zupan, arrampica con poca attrezzatura a causa dei prezzi elevati e delle difficoltà di approvvigionamento dei materiali. Se inizialmente effettua le ascensioni indossando i pantaloni alla zuava e gli scarponi, decide in seguito di portare jeans, maglione e scarpette, entrando in frizione, suo malgrado, con i maestri di un’altra generazione. Non dorme nei rifugi e preferisce bivaccare all’esterno, mentre per gli spostamenti si muove a piedi o in autostop. L’autore espone apertamente le sue idee e critica, anche con ferocia, l’ambiente alpinistico dominante, tradizionale, che vuole imporre «valutazioni, cifre e lettere… Ma quelle sono roba morta» (p. 61), perché ‒ a suo avviso ‒ arrampicare è un’esperienza soggettiva, intima, filtrata dalla prospettiva di colui che la compie. Per Knez, raggiungere la vetta è un attimo in cui «tocchi la felicità. Ogni tocco è un pezzettino d’eternità, rugiada dorata per anime immortali» (p. 108). È necessario notare come nel libro non si avvertano eroismo e machismo, quanto piuttosto il desiderio di condividere quanto affrontato, tanto che l’autore dichiara: «È certamente buona cosa tendere alla perfezione, anche se spesso si perde di vista il fatto che tra i tratti caratteristici che distinguono l’essere umano, il più significativo è proprio il saper fallire» (p. 59). L’esplorazione ‒ «tutto quel vagabondare […] ti rende l’anima tranquilla e incantata» (p. 42) ‒, la roccia di buona qualità e la capacità di riuscire a superare gli ostacoli sulla parete sono gli elementi essenziali dell’alpinismo di Knez che, infatti, non dedica ampie descrizioni alla vetta o alle implicazioni psicologiche ed emotive del raggiungimento della stessa, preferendo piuttosto raccontare le avventure affrontate. Riguardo a questo, l’autore scrive: «l’obiettivo è l’ispirazione e il percorso è un fine di per sé. L’importante è credere nel proprio cammino» (p. 160).
[Clementina Greco, 30 settembre 2025]
Ultimo aggiornamento
14.11.2025