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Messner Reinhold (1944-)

Nasce a Bressanone nel 1944 in una famiglia numerosa germanofona e cresce a Funes. A soli cinque anni, compie con suo padre la sua prima ascensione sul Sass Rigais, per poi proseguire con le scalate nelle montagne della zona. Si diploma come geometra e si trasferisce a Padova per studiare ingegneria, senza però giungere a laurearsi. Nel 1993 inaugura il museo Alpine Curiosa a Solda, nelle Ortles. L’anno successivo si dedica a operazioni di pulizia nell’India settentrionale e in Uganda. Nel 2002, Anno Internazionale delle Montagne, inaugura il Messner Mountain Museum e le sei sedi oggi visitabili sono: Corones dedicato alla storia dell’alpinismo; Firmian, cuore pulsante del circuito museale, è incentrato sul tema del rapporto tra l’uomo e la montagna; Dolomites si concentra sulla roccia; Juval dà conto del mito della montagna; Ripa dedicato ai popoli di montagna; Ortles focalizzato sul ghiaccio. L’anno seguente, Messner inaugura una scuola nominata a suo fratello Günther nella valle di Diamir presso il Nanga Parbat. Si dedica all’agricoltura, alla politica, alla scrittura, all’esplorazione, all’attivismo ecologista e, ovviamente, all’alpinismo di professione.

Tra il 1950 e il 1964 compie più di cinquecento scalate nelle Alpi orientali, preferibilmente nelle Dolomiti. I suoi compagni di cordata più importanti, oltre a suo fratello Günther, sono Peter Habeler e Hans Kammerlander. Si ricordano numerose ascensioni come: la parete Nord-ovest del Monte Civetta (1967); la prima invernale dello spigolo nord del Monte Agnér (1967); la prima invernale della parete Nord del Monte Agnér (1968); il pilastro di mezzo del Sasso di Santa Croce (1968); il pilastro Nord dell’Eigner (1968); la parete Nord de Les Droites (1969); il diedro Philipp-Flamm del Civetta (1969); la parete Sud della Punta Rocca della Marmolada (1969); il versante Rupal del Nanga Parbat (1970); parete Sud del Manaslu (1972); parete Nord-ovest del Monte Pelmo (1973); il pilastro Ovest della Marmolada (1973); la parete ovest del Furchetta (1973); la parete Sud del Monte Aconcagua (1974); la parete Nord dell’Eigner con il record di dieci ore (1974); parete Nord-ovest dell’Hidden Peak (1975) in stile alpino; la prima salita senza ossigeno del Monte Everest (1978); la prima solitaria di un Ottomila sul versante Diamir del Nanga Parbat (1978); il Breach Wall sul Kilimangiaro (1978); il K2 in stile alpino (1979); la prima ascensione del Monte Hoggar (1979); il versante Nord dell’Everest (1980); il Sisha Pangma (1981); il Chamlang (1981); il Kanchenjunga (1982); il Gasherbrum II (1982); il Broad Peak (1982); il versante Sud-ovest in stile alpino del Cho Oyu (1983); il primo concatenamento di due Ottomila e cioè il Gasherbrum I e II (1984); la parete Nord-ovest dell’Annapurna (1985); lo sperone Nord-est in stile alpino del Dhaulagiri (1985); il Makalu (1986); il Lohtse (1986), il Mount Vinson (1986); il Chimborazo (1992); il Monte Belucha (1995); il Cotopaxi (2002). È il primo alpinista ad aver scalato tutti e quattordici gli Ottomila della Terra, nonostante recentemente sia stato messo in discussione questo primato, concesso da Guinness Worlds Records allo statunitense Edmund Viesturs. 

Ha scritto numerosi libri, di cui si riportano alcune delle prime edizioni in lingua italiana: La mia strada, Milano, Dall’Oglio, 1983; Scuola di alpinismo, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1984; Le mie Dolomiti, Bolzano, Tappeiner, 1988; Antartide. Inferno e paradiso, Milano, Garzanti, 1992; Attorno al Sudtirolo, Trento, BQE, 1992; Re Ortles, Bolzano-Treno, Tappeiner-BQE, 2004; La montagna incantata, Bolzano, Tappeiner, 2006; Nanga Parbat, la montagna del destino, Milano, Mondadori, 2008; Dolomiti. Patrimonio dell’umanità, Bolzano, Tappeiner, 2009; Parete ovest, Milano, Corbaccio, 2011; Gobi. Il deserto dentro di me, Grancona, Mare Verticale, 2013; La vita secondo me, Milano, Corbaccio, 2014; La seconda morte di Mallory, Milano, RCS, 2016; Tempesta sul Manaslu. Tragedia sul tetto del mondo, Scarmagno, Priuli & Verlucca, 2021; Il senso dell’inutile. La rinuncia come stile di vita, Milano, Solferino, 2022; La mia vita controvento. Crescere attraverso gli ostacoli, Milano, Corbaccio, 2024;

 

 

Titolo: Tutte le mie cime

Luogo di edizione: Bologna

Casa editrice: Zanichelli

Anno di pubblicazione: 1984

Edizione di riferimento: Reinhold Messner, Tutte le mie cime, Milano, Corbaccio, 2011.

 

Il volume è un corposo fototesto che ripercorre in sette capitoli le tremila vette esplorate e ascese dall’autore che, già nell’indice, indica la datazione per ogni cima raggiunta. Le fotografie ‒ così come le inserzioni, talvolta in forma poetica, più intime, isolate e annotate in corsivo ‒ sono fondamentali per la narrazione e vanno a comporre esse stesse un racconto, una trama, un imagetext. Messner comincia dalle origini del suo alpinismo, a partire dai cinque anni di età, guidato dal padre Josef, in un periodo che egli definisce «naif» (p. 18), spinto dall’impulso di «vedere quel che c’era al di là della catena montuosa successiva» (Ibidem). Tra i suggestivi scatti in bianco e nero che testimoniano di scalate familiari nelle Odle, il racconto delle prime ascensioni fa emergere il profilo di un ragazzino che, attraverso la montagna, vuole evadere dalla vallata e dal destino nella fattoria Messner. Tra il 1950 e il 1960, arrampica solo in val di Funes dove le Dolomiti vengono da lui avvertite come un «castello di roccia» (p.29) nonché un «simbolo dell’assenza di costrizioni» (Ibidem). Dopodiché si sposta con i fratelli Helmut e Günther, insieme a qualche amico, nel gruppo del Sella, del Cir e nella zona di Puez. La prima scalata invernale, compiuta nelle Odle, risale al 1967. In questi anni, Messner entra, come ci racconta lui stesso, nel club alpino altoatesino e, dopo aver seguito un corso di avviamento all’arrampicata su roccia, diventa un AV-Jugendleiter, cioè un dirigente giovanile del club. Nel 1965 si reca per la prima volta, in compagnia di suo fratello Günther, sulle Alpi Occidentali. Dal 1966 al 1977 effettua numerose ascensioni con Heini Holzer che perde poi la vita scendendo dalla parete Nord-est del Piz Roseg. Altri compagni di cordata molto importanti per l’autore sono, oltre ai suoi fratelli, Heindl Messner, Paul Kantioler e Sepp Mayerl ai quali è legato da «un senso intrinseco dell’onore, del cameratismo» (p. 95). Nel capitolo intitolato Sturm und Drang, Messner si sofferma sul periodo giovanile, tra i venti e i venticinque anni, e si autodescrive «abbagliato, posseduto, folle» (p. 109), si arrampica, scrive, «come un giovane Sigfrido» (Ibidem) convinto di non poter morire. A metà degli anni Sessanta, quindi, afferma: «Ero un arrampicatore estremo. Non mi interessava l’altezza delle montagne, le escursioni mi annoiavano, non avevo la tranquillità interiore necessaria per la contemplazione. Una sola cosa mi premeva: ero pazzo per le pareti verticali» (p. 110). Alla fine del decennio, Messner scrive articoli, partecipa a dibattiti sull’alpinismo e sostiene con fervore l’arrampicata libera, rifiutando gli ausili tecnici tanto che, nel 1968, abbandona definitivamente l’arrampicata artificiale. Nello stesso periodo, durante il quale abbandona gli studi universitari, inizia a compiere sempre più solitarie, inebriandosi per le sensazioni suscitate e per il senso di indipendenza avvertito durante questo tipo di scalata. Nel 1969 ‒ anno in cui Messner sostiene di raggiungere «l’apice della preparazione tecnica e sportiva» (p. 155) ‒ viene invitato dal Club Alpino austriaco alla spedizione del giubileo ed è così che, durante la sua prima spedizione, Messner scala con Peter Habeler la parete Nord-est dello Yerupaja, nelle Ande. L’anno successivo, lui e suo fratello Günther vengono invitati a salire il versante Rupal del Nanga Parbat ma, nonostante il successo della scalata, l’avventura finisce in tragedia: tentando la discesa dal versante Diamir tra «fatiche inenarrabili, bivacchi senza saccopiuma a quote letali» (p. 159), una valanga travolge e uccide Günther. L’autore si sofferma poi sul racconto delle difficoltà successive all’evento traumatico: dal dolore per la perdita del fratello all’amputazione delle dita dei piedi per congelamento, dalla prostrazione dei genitori alle polemiche condotte contro di lui pubblicamente, Messner vive una fase di depressione da cui ‒ come racconta lui stesso ‒ si riprende grazie al supporto della futura moglie Uschi Demeter, alla scrittura dei suoi primi libri e alla realizzazione del suo primo film con Ernst Pertl. Tornato all’alpinismo, Messner vive gli anni Settanta partecipando a spedizioni sugli ottomila con correttezza, sopportando cioè «i costi elevati senza ricorrere al denaro pubblico» (p. 164), ma ciò provoca «un “terremoto” nell’ambiente alpinistico» (Ibidem). Segue la narrazione di altre scalate, compiute in tutto il mondo, come la parete Sud dell’Aconcagua, la parete Nord-ovest dell’Hidden Peak affrontata in «puro stile alpino sugli Ottomila. L’Himalaya by fear means» (p. 193), la parete Sud del Mount McKinley, il K2 passando per lo sperone Abruzzi, nonché l’ascensione dell’Everest senza l’ausilio dell’ossigeno, in libera, con Peter Habeler. Di anno in anno, Messner compie l’ascensione di tutti i quattordici ottomila e, con Hans Kammerlander ‒ compagno fisso di cordata dalla metà degli anni Ottanta ‒, effettua il concatenamento di due ottomila. È interessante come l’autore descriva l’esperienza di scalata sul Makalu con una équipe cinematografica: «seminudi, con gli attrezzi appesi alle spalle, e urlando, questi individui si muovono nella natura e la derubano della sua essenza» (p. 260). Dal 1987, fonda l’organizzazione Mountain Wilderness, avente come scopo quello di «sottolineare con il blocco di impianti di risalita e di strade, nonché di lavori di sgombero, i problemi ambientali provocati dal turismo di massa sulle montagne e di sensibilizzare tutti coloro che praticano sport nel pieno rispetto della natura» (p. 266). Negli anni Novanta, quindi, si dedica maggiormente alla famiglia e alla «difesa dell’ultima wilderness» (p. 266), organizzando manifestazioni e atti dimostrativi soprattutto contro l’edificazione massiccia nei luoghi montani. Il nuovo millennio comincia con l’impegno politico al Parlamento europeo, con lo scopo di difendere l’ambiente montano e le sue popolazioni, fino all’istituzione della Messner Mountain Foundation nel 2005.

L’autore informa che l’obiettivo del volume è quello di suscitare nel lettore «la curiosità per la bellezza e la varietà delle […] montagne, di renderlo partecipe del lento sviluppo da ragazzino ingenuo ad alpinista estremo» (p. 18), ma è evidente come, nella seconda parte del volume, si faccia avanti anche un altro scopo e cioè quello della sensibilizzazione ecologica.

Dagli anni Cinquanta inizia a usare corda e chiodi per arrampicare, mentre l’allenamento intensivo diventa fondamentale dal decennio successivo. L’autore afferma, inoltre, di preferire il terreno misto, autodefinendosi, così, «un alpinista classico» (p. 149). Nel 1980, utilizza «uno zaino […], una piccola tenda da bivacco, viveri, indumenti, un saccopiuma, piccozza, due bastoncini di appoggio» (p. 230). Messner così riassume il suo percorso di crescita personale e alpinistico: «in una prima fase si salivano le montagne, in modo molto semplice, l’importante era arrivare in vetta. In seguito ho cercato di raggiungere le stesse vette lungo le vie più impegnative. Alle vie classiche seguirono quelle estreme. Alla fine entrarono in gioco questioni di stile, che ebbero come conseguenza uno sviluppo tecnico. Sull’Himalaya ho poi riprodotto questo percorso completato sulle Alpi, e infine ho cercato di ridurre gli ausili tecnici, in base a un principio di carattere etico. A tutto ciò si è aggiunta una componente filosofica, che si è ulteriormente sviluppata grazie alle mie convinzioni ecologiche. Nello sviluppo alpinistico si può leggere lo sviluppo del pensiero umano» (p. 26).

 

 

[Clementina Greco, 12 maggio 2025]

Ultimo aggiornamento

08.07.2025

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